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Breve storia dei Vichinghi

È sempre questione di punti di vista: si prendano i Vichinghi, ad esempio. Bruti, rozzi, sporchi e cattivi secondo la vulgata delle popolazioni interessate dalla loro espansione commerciale e culturale, avvenuta fra l’VIII e l’XI secolo; belli, curati, palestrati, culturalmente preparati, grandi marinai e negoziatori secondo gli storici nordici che ne raccontarono le gloriose gesta.

 

È per questo che, per avere un quadro generale più attendibile, alle fonti scritte è necessario aggiungere testimonianze diverse, più oggettive, che possano contribuire a far luce sulla natura di un popolo.

Miti e leggende dei Vichinghi

Quello dei Vichinghi, tra l’altro, è stato uno di quelli intorno ai quali sono fiorite leggende su leggende, utili certo per inquadrare la situazione, ma decisamente ridondanti, se non fonte di disturbo, se si desidera risalire ad evidenze storiche in grado di ricostruire un fenomeno culturale fra i più importanti dell’Europa di quegli anni. È dunque grazie all’archeologia, che negli ultimi decenni ha intensificato le ricerche proprio in questo settore, che oggi sappiamo molto dei popoli del nord scandinavo, anche se ci sfugge ancora l’origine del loro nome: alcuni ritengono che nasca dal termine vêk, ovvero “baia” (pirati che si nascondevano nelle rade protette, da cui sferravano i loro micidiali attacchi), altri dalla parola vig, cioè “battaglia”, a certificare la loro natura particolarmente bellicosa, altri ancora dal vocabolo vikja, che significa “allontanarsi”.

Comunque sia, col termine Vichinghi si intendono quelle popolazioni originarie dell’attuale Scandinavia che dall’VIII secolo in poi partirono dalle loro terre per esplorare il mondo circostante: inizialmente indirizzarono il loro interesse verso nord ovest, nell’arcipelago scozzese e in Irlanda; successivamente calarono piano piano verso sud. Incerti sono i motivi per cui improvvisamente queste comunità decisero di abbandonare le loro terre, quelle in cui avevano comunque fondato dei villaggi e avviato delle imprese commerciali e artigianali, per espandersi verso territori sconosciuti.

Alcuni storici sono convinti che si sia trattato di un fenomeno simile a quello che caratterizzò le cosiddette “colonizzazioni greche” che parecchi secoli prima interessarono il mare Egeo e il Mediterraneo: a sud come a nord la molla che fece scattare massicce partenze sarebbe stato l’eccessivo incremento demografico, a cui all’epoca non si seppe dare altra risposta se non invitando i più dinamici e arditi a prendere le loro cose e a partire per trovare nuove terre in cui abitare. Altri studiosi, invece, pensano si sia trattato della naturale conseguenza del loro comportamento, visto che anche dalle loro parti queste popolazioni, accomunate da una medesima origine ma suddivise in società distinte, tendevano ad assaltare le comunità confinanti per depredarle e sancire in questo modo la loro superiorità.

I Drakkar: il segreto dei Vikinghi sull'acqua 

Difficile credere, a causa della mancanza di evidenze archeologiche precise e di narrazioni storiche affidabili, che vi sia stata improvvisamente una conquista da parte di un forte esercito straniero che avrebbe cacciato gli sconfitti dalle loro terre, condannandoli a vagare per i mari in cerca di nuove fortune. Ciò che è certo è che a dare un impulso decisivo alle partenze furono gli enormi progressi nella tecnica marinara, in particolare nella costruzione delle imbarcazioni, note con il nome di drakkar, navi da guerra a fondo piatto, difficili da governare in mare aperto, soprattutto in cattive condizioni meteorologiche, ma assai agili nella navigazione sotto costa e in quella fluviale: in questo modo potevano seguire la conformazione dei litorali e poi risalire i fiumi senza alcun rischio, arrivando anche in quei villaggi che mai e poi mai si sarebbero aspettati un assalto dall’acqua.

Per secoli infatti i fiumi avevano rappresentato una specie di difesa naturale contro le invasioni di popoli stranieri: i Vichinghi sovvertirono questo fattore e si fecero per questo una fama particolarmente cattiva. Alcune recenti scoperte archeologiche hanno portato alla luce esemplari abbastanza integri di queste imbarcazioni, confermando ciò che da tempo si intuiva: si trattava di navi di diverse dimensioni, realizzate con grande maestria in legno di quercia con poppa e prua rialzate e spinte da grandi vele quadrate o, in assenza di vento, da lunghi remi manovrati da decine di uomini nerboruti. Accanto ad esse c’erano poi navi più ampie, destinate a trasportare le merci da commerciare o da sottrarre con la violenza alle comunità contro cui piombavano all’improvviso.

Con queste flotte i Vichinghi iniziarono ad imperversare inizialmente nei mari del nord: convenzionalmente si fa risalire all’8 giugno 793 il primo assalto storicamente provato, contro il monastero di Lindisfarne, un minuscolo isolotto al largo dell’Inghilterra nord orientale. La violenza che gli invasori esercitarono sui monaci fu tale da caratterizzarli per sempre: da quel momento la parola vichingo diventò sinonimo di violento.

Da allora nessun tratto d’acqua poté dirsi al sicuro, visto che in alcuni decenni i marinai provenienti dal nord si espansero sulle coste di tutta Europa, spingendosi persino sui litorali del Nordafrica, a Bisanzio, in Persia e nel Turkestan. Se nel nord provarono a sostituire al saccheggio la colonizzazione, stabilendo dei porti di riferimento sulle coste di Scozia, Irlanda, Fær Øer e Inghilterra, al sud si limitarono a rapide incursioni e a saccheggi indiscriminati.

Tuttavia ebbero un ruolo di primo piano nello sviluppo e nella imprevista fine dell’impero Carolingio, visto che dopo aver saccheggiato Parigi, costrinsero Carlo III il Grosso ad andarsene perché non era stato capace di contrastarli a dovere. Ovunque si installarono, in breve tempo si mescolarono alle comunità vicine, perdendo le loro caratteristiche peculiari e contribuendo a rimescolare ulteriormente usi e costumi.

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Tramonto di una civiltá

Gli storici parlano anche di una seconda ondata di spedizioni intorno all’anno 1000, quando i Vichinghi colonizzarono la Groenlandia e toccarono le coste di quella che sarebbe diventata l’America. Nello stesso periodo però anche quelle poche roccaforti al di fuori della Scandinavia vennero perdute, tanto che gli storici concordano a ritenere il 1015, anno della fine della dominazione danese dell’Inghilterra, la conclusione dell’epopea vichinga in Europa.

Della loro cultura originale sono rimaste ben poche tracce nel processo di integrazione successivo alle loro peregrinazioni; molte ne sono invece rimaste del loro dna, che ha finito per rimescolare tratti e fisionomie di abitanti che per secoli si erano caratterizzati per elementi somatici caratteristici.

Delle loro divinità, Odino, Thor e Freyr, è rimasta permanenza solo in ambito leggendario  mentre il fatto che credessero in una vita ultramondana, per cui riempivano le tombe dei defunti di oggetti utili a sopravvivere nell’aldilà, non è una grossa novità nel panorama dell’umanità dell’epoca.

Ciò che è rimasto nel nostro immaginario collettivo è paradossalmente smentito dalle indagini storiografiche e archeologiche: non erano grandi e grossi, ma di statura media, anche se i loro corpi venivano allenati al combattimento fin dalla giovinezza; non vestivano elmi dotati di lunghe corna, visto che non ne è stato trovato un solo esemplare così realizzato; non erano sporchi e trasandati, dato che nei corredi funerari è stata ritrovata una grande quantità di oggetti legati alla toeletta che ci fanno presupporre l’esatto contrario. Insomma, la nostra immagine dei Vichinghi si è consolidata più sulle fantasie ad essi collegate che sulla realtà. Un approccio molto romantico, ma assolutamente poco scientifico.

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